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Libri della Bibbia: Giovanni
Titolo
Il quarto Vangelo ripresenta il modello degli altri tre: noto dapprima con il titolo di “Secondo Giovanni”, accolse poi, come gli altri Vangeli, l’aggiunta del termine “Vangelo”.
Autore e data
Sebbene il nome dell’autore non compaia nel testo, la tradizione della chiesa primitiva difese strenuamente e con costanza la paternità dell’apostolo Giovanni.
Uno dei padri della chiesa, Ireneo (130-200 d.C. ca) era discepolo di Policarpo (70-160 d.C. ca), che a sua volta era discepolo dell’apostolo Giovanni.
Ireneo attestò, sulla base dell’autorità di Policarpo, che Giovanni aveva redatto questo Vangelo mentre risiedeva a Efeso, in Asia Minore, ed era in età avanzata (Contro le Eresie II.22.5; III.1.1).
Anche tutti gli altri padri della chiesa dopo Ireneo riconobbero in Giovanni l’autore di questo testo.
Clemente di Alessandria (150-215 d.C. ca) scrisse che Giovanni, a conoscenza dei fatti presentati negli altri Vangeli e mosso dallo Spirito Santo, compose un “vangelo spirituale” (vd. Eusebio, Storia Ecclesiastica VI.14.7).
A supporto della tradizione della chiesa primitiva vi sono significative caratteristiche interne al Vangelo.
Mentre i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) citano l’apostolo Giovanni per nome circa 20 volte (inclusi i passi paralleli), egli non è mai menzionato direttamente nel Vangelo di Giovanni.
Piuttosto, l’autore preferisce identificarsi come il discepolo “che Gesù amava” (13: 23; 19: 26; 20: 2; 21: 7, 20).
L’assenza di qualsiasi riferimento diretto al nome di Giovanni è degna di nota se si considera l’importante ruolo svolto da altri discepoli nominati in questo Vangelo.
La ricorrente designazione di Giovanni come discepolo “che Gesù amava”, una deliberata reticenza nello svelare il proprio nome, riflette la sua umiltà e celebra il suo rapporto con il Signore Gesù.
Non v’era bisogno di alcuna menzione del suo nome perché i suoi lettori originali avrebbero chiaramente inteso che Giovanni era l’autore del Vangelo. Inoltre, mediante un processo di eliminazione basato primariamente sull’analisi del materiale contenuto nei capp. 20 e 21, è possibile restringere il campo a un unico discepolo, colui “che Gesù amava”, l’apostolo Giovanni (p. es.: 21: 24; cfr. 21: 2).
Data la precisione dell’autore nel menzionare i nomi degli altri personaggi del Vangelo, egli non avrebbe omesso il nome di Giovanni se non si fosse trattato dell’apostolo stesso.
L’anonimato di questo Vangelo è una solida argomentazione a favore della paternità giovannea, dal momento che solamente un uomo della sua nota e somma autorità apostolica avrebbe potuto scrivere un testo che tanto segnatamente si distingue in forma e sostanza dagli altri Vangeli, ma che pur ricevette accoglienza unanime in seno alla chiesa primitiva.
Per contro, i Vangeli apocrifi redatti dalla metà del II sec. in poi furono falsamente ascritti agli apostoli o ad altre eminenti figure legate a Gesù, ma universalmente rifiutati dalla chiesa.
Giovanni e Giacomo, suo fratello maggiore (At 12: 2), erano noti con il nome di “figli di Zebedeo” (Mt 10: 2-4) e Gesù diede loro il nome di “figli del tuono” (Mr 3: 17).
Giovanni era un apostolo (Lu 6: 12-16) e uno dei tre più intimi compagni di Gesù (unitamente a Pietro e Giacomo, cfr. Mt 17: 1; 26: 37), essendo un testimone oculare partecipe del ministero terreno di Gesù (1 Gv 1: 1-4).
Dopo l’ascensione di Cristo, Giovanni divenne una “colonna” della chiesa di Gerusalemme (Ga 2: 9).
Egli fu compagno di ministero di Pietro (At 3: 1; 4: 13; 8: 14) finché non si recò a Efeso (secondo la tradizione, prima della distruzione di Gerusalemme), dove scrisse questo Vangelo prima di essere esiliato dai Romani a Patmos (Ap 1: 9).
Oltre al Vangelo che porta il suo nome, Giovanni fu anche l’autore di tre Lettere (1–3 Giovanni) e del libro dell’Apocalisse (Ap 1: 1).
Sulla base delle indicazioni di alcuni padri della chiesa sull’attività compositiva di Giovanni in età avanzata e sulla sua conoscenza dei Vangeli sinottici, molti fanno risalire la redazione di questo Vangelo al periodo successivo alla composizione degli altri, prima tuttavia che Giovanni scrivesse le tre Lettere e l’Apocalisse (tra l’80 e il 90 d.C. , ca 50 anni dopo essere stato testimone del ministero terreno di Gesù).
Contesto e ambiente del Vangelo di Giovanni
Per poter inserire Giovanni nel giusto contesto e in una corretta ambientazione, è fondamentale tenere in considerazione la tradizione della chiesa primitiva, secondo la quale Giovanni era a conoscenza dell’esistenza dei Vangeli sinottici.
Manifestamente, egli scrisse il suo Vangelo per dare un contributo unico alla narrativa della vita del Signore (“un vangelo spirituale”) e, in parte, per fornire elementi supplementari e complementari ai Vangeli di Matteo, Marco e Luca.
Le peculiarità uniche di questo Vangelo permettono di centrare l’obiettivo: in primo luogo, Giovanni fornì una gran quantità di materiale inedito non presente negli altri Vangeli; in secondo luogo, diede informazioni utili per la comprensione degli eventi narrati nei sinottici.
Ad esempio, i sinottici iniziano con il ministero di Gesù in Galilea, lasciando intendere che vi sia stato un ministero precedente (p. es.: Mt 4: 12; Mr 1: 14). Giovanni fornisce la risposta parlando del ministero precedente di Gesù in Giudea (cap. 3) e Samaria (cap. 4).
In Mr 6: 45, dopo aver sfamato i 5.000, Gesù obbligò i suoi discepoli ad attraversare il mare di Galilea fino a Betsaida.
Giovanni ne riportò la ragione: la folla stava per fare di Gesù il proprio re perché aveva compiuto il miracolo della moltiplicazione, ed egli volle neutralizzare i loro sforzi dettati da motivazioni errate (6: 26).
In terzo luogo, quello di Giovanni è il Vangelo più “teologico” poiché contiene, fra l’altro, un prologo di elevato spessore dottrinale (1: 1-18), quantità più ampie di materiale didattico e dialogico rispetto alla parte narrativa (p. es., 3: 13-17) e il più esteso insegnamento sullo Spirito Santo (p. es.: 14: 16, 17, 26; 16: 7- 14).
Pur conoscendo i sinottici e tenendone conto nella redazione del suo testo, egli non vi attinse le proprie informazioni.
Piuttosto, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, egli fece ricorso alla propria memoria di testimone oculare per ricostruire gli eventi (1: 14; 19: 35; 21: 24).
Il Vangelo di Giovanni è il secondo (cfr. Lu 1: 1-4) dei quattro a contenere una precisa dichiarazione d’intenti da parte dell’autore (20: 30-31).
Egli afferma: “… questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome” (20:31).
Gli scopi primari di questo Vangelo sono dunque, ad un tempo, evangelistici e apologetici.
A riprova della natura evangelistica del testo, la parola “credere” compare all’incirca 100 volte (i sinottici fanno uso del termine con una frequenza inferiore alla metà rispetto a Giovanni).
Giovanni scrisse il suo Vangelo per offrire ai lettori il fondamento della fede salvifica e, di conseguenza, rassicurarli del fatto che avrebbero ricevuto il dono divino della vita eterna (1: 12).
Lo scopo apologetico è strettamente legato a quello evangelistico.
Giovanni scrisse per convincere i suoi lettori della vera identità di Gesù come Dio incarnato, le cui nature umana e divina erano perfettamente unite nel Cristo di cui avevano parlato le profezie (il “Messia”), il Salvatore del mondo (p. es.: 1: 41; 3: 16; 4: 25-26; 8: 58).
Egli impostò la narrazione attorno a otto “segni” o prove a sostegno della fede nella vera identità di Gesù.
La prima metà del libro si incentra su sette segni miracolosi scelti per rivelare la persona di Cristo e generare fede:
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la trasformazione dell’acqua in vino (2: 1-11);
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la guarigione del figlio dell’ufficiale del re (4: 46-54);
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la guarigione del paralitico (5: 1-15);
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la moltiplicazione dei pani (6: 1-15);
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Gesù cammina sulle acque (6: 16-21);
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la guarigione del cieco (9: 1-41);
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la risurrezione di Lazzaro (11: 1-46);
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la pesca miracolosa dopo la risurrezione di Gesù (21: 6-11).
Temi storici e teologici
In conformità agli scopi evangelistici e apologetici di Giovanni, il messaggio generale del Vangelo si trova riassunto in 20: 31: “Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio”.
Il libro, pertanto, si concentra sulla persona e l’opera di Cristo.
Tre parole predominanti (“segni”, “credere” e “vita”) in 20: 30-31 vengono enfatizzate costantemente all’interno del Vangelo e rafforzano il tema della salvezza in Cristo, che è dapprima presentato nel prologo (1: 1-18; cfr. 1 Gv 1: 1-4) e poi espresso in tutto il Vangelo in molti modi (p. es.: 6: 35, 48; 8: 12; 10: 7, 9; 10: 11-14; 11: 25; 14: 6; 17: 3).
Inoltre Giovanni presenta la reazione degli uomini dinanzi a Gesù Cristo e alla salvezza ch’egli offre.
Riassumendo, il Vangelo si concentra su:
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Gesù come Parola, Messia e Figlio di Dio;
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colui che porta il dono della salvezza all’umanità;
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coloro che accettano o rifiutano l’offerta della salvezza.
Giovanni presenta altresì alcuni sottotemi sviluppati per contrasto che vanno a confermare il tema principale.
Egli fa uso del procedimento dualistico (vita e morte, luce e tenebre, amore e odio, ciò che viene dall’alto e ciò che viene dall’uomo) per comunicare informazioni vitali riguardo alla persona e all’opera di Cristo e al bisogno di credere in lui (p. es.: 1: 4-5, 12-13; 3: 16-21; 12: 44-46; 16: 17-20).
Riscontriamo, infine, sette metafore introdotte dall’espressione “Io sono” con cui Gesù afferma di essere Dio e Messia (6: 35; 8: 12; 10: 7, 9, 11, 14; 11: 25; 14: 6; 15: 1, 5).
Sfide interpretative
Lo stile chiaro e semplice utilizzato da Giovanni potrebbe indurre a sottovalutare la profondità di questo Vangelo.
Essendo un “vangelo spirituale” (vd. Autore e data), le verità che comunica sono profonde.
Il lettore deve esplorare il libro meticolosamente e mantenere un atteggiamento di preghiera per scoprire i tesori che l’apostolo, sotto la guida dello Spirito Santo (14: 26; 16: 13), ha amorevolmente celato nel suo testo.
I Vangeli sinottici e quello di Giovanni presentano una sfida per quanto riguarda il computo cronologico, specialmente in relazione alla cronologia dell’ultima cena (13: 2).
Mentre i sinottici ritraggono i discepoli e il Signore nell’atto di consumare la Pasqua il giovedì sera (il 14 del mese di Nisan) e la crocifissione di Gesù il venerdì, il Vangelo di Giovanni afferma che i Giudei non entrarono nel pretorio “per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua” (18: 28).
Pertanto, i discepoli avevano consumato la Pasqua il giovedì sera, ma non i Giudei.
Lo stesso Giovanni (19: 14) afferma che il processo e la crocifissione di Gesù ebbero luogo nel giorno della preparazione della Pasqua e non dopo la consumazione della cena pasquale; quindi, se il processo e la crocifissione ebbero luogo il venerdì, Cristo fu sacrificato nello stesso momento in cui venivano sgozzati gli agnelli pasquali (19: 14).
La domanda che sorge è: perché i discepoli consumarono la cena pasquale il giovedì?
La risposta risiede nei diversi modi di calcolare l’inizio e la fine del giorno in uso tra i Giudei.
Da Giuseppe Flavio, dalla Mishna e da altre fonti giudaiche antiche apprendiamo che i Giudei che vivevano nel nord di Israele calcolavano i giorni da un’alba a quella successiva.
Fra questi vi erano i Galilei, provenienti dalla regione dove Gesù e tutti i discepoli erano cresciuti, fatta eccezione per Giuda.
Con ogni probabilità la maggior parte dei farisei, se non tutti, ricorreva a questo computo.
Ma i Giudei della regione meridionale, il cui centro era Gerusalemme, calcolavano i giorni da un tramonto a quello successivo.
Dal momento che tutti i sacerdoti vivevano necessariamente a Gerusalemme o nelle sue vicinanze, come anche la maggior parte dei sadducei, essi seguivano il sistema in vigore al Sud.
Questa diversità causava talvolta confusione, ma portava con sé alcuni benefici pratici.
Durante la Pasqua, p. es., consentiva la legittima celebrazione in due giorni concomitanti ed estendeva il periodo dei sacrifici nel tempio da due a quattro ore.
Una siffatta divisione può anche aver sortito l’effetto di ridurre i contrasti regionali e religiosi fra i due gruppi.
Alla luce di tale diversità, le apparenti contraddizioni presenti nelle narrazioni evangeliche trovano una facile spiegazione.
Essendo Galilei, Gesù e i discepoli consideravano l’alba del giovedì il principio del giorno pasquale e l’alba del venerdì la sua fine.
I capi religiosi giudei che arrestarono e processarono Gesù, essendo per lo più sacerdoti e sadducei, consideravano il tramonto del giovedì come il principio della Pasqua e il tramonto del venerdì la sua fine.
Grazie a quella variazione, predeterminata da Dio nella sua provvidenza sovrana, Gesù poté pertanto celebrare legittimamente l’ultima Pasqua con i suoi discepoli ed essere, allo stesso tempo, sacrificato il giorno di Pasqua.
Ancora una volta possiamo constatare come Dio abbia provveduto sovranamente e meravigliosamente al preciso adempimento del suo disegno di redenzione.
Gesù non fu affatto una vittima delle trame di uomini malvagi, né tanto meno di cieche circostanze.
Ogni parola da lui pronunciata e ogni azione compiuta erano divinamente dirette e orchestrate.
Persino le parole e le azioni che altri compirono contro di lui erano controllate da Dio. Vd. p. es.: 11: 49-52; 19: 11.
Schema del libro
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L’incarnazione del Figlio di Dio (1:1-18)
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La sua natura eterna (1:1-2)
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La sua opera prima dell’incarnazione (1:3-5)
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Il suo precursore (1:6-8)
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Il rifiuto del mondo (1:9-11)
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Coloro che lo hanno ricevuto (1:12-13)
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La sua deità (1:14-18)
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La testimonianza resa al Figlio di Dio (1:19-4:54)
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La testimonianza di Giovanni il battista (1:19-34)
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Ai capi religiosi (1:19-28)
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In occasione del battesimo di Cristo (1:29-34)
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La sua presentazione ai discepoli di Giovanni (1:35-51)
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Andrea e Pietro (1:35-42)
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Filippo e Natanaele (1:43-51)
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La sua presentazione in Galilea (2:1-12)
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Primo segno: l’acqua tramutata in vino (2:1-10)
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I discepoli credono (2:11-12)
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La sua presentazione in Giudea (2:13–3:36)
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La purificazione del tempio (2:13-25)
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L’insegnamento rivolto a Nicodemo (3:1-21)
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La predicazione di Giovanni il battista (3:22-36)
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La sua presentazione in Samaria (4:1-42)
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La testimonianza resa alla donna samaritana (4:1-26)
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La testimonianza resa ai discepoli (4:27-38)
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La testimonianza resa ai Samaritani (4:39-42)
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La sua presentazione in Galilea (4:43-54)
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L’accoglienza dei Galilei (4:43-45)
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Il secondo segno: la guarigione del fi glio di un ufficiale (4:46-54)
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Opposizione al Figlio di Dio (5:1–12:50)
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Opposizione durante una festa in Gerusalemme (5:1-47)
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Terzo segno: la guarigione di un paralitico (5:1-9)
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Il rifiuto da parte dei Giudei (5:10-47)
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Opposizione durante la Pasqua (6:1-71)
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Quarto segno: Gesù sfama i 5.000 (6:1-14)
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Quinto segno: Gesù cammina sulle acque (6:15-21)
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Il discorso sul pane della vita (6:22-71)
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Opposizione in occasione della festa delle Capanne (7:1–10:21)
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L’opposizione (7:1–8:59)
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Sesto segno: Gesù guarisce un uomo cieco dalla nascita (9:1–10:21)
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Opposizione durante la festa della Dedicazione (10:22-42)
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Opposizione a Betania (11:1–12:11)
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Settimo segno: la risurrezione di Lazzaro (11:1-44)
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I farisei complottano contro Cristo (11:45-57)
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Maria unge Cristo (12:1-11)
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Opposizione a Gerusalemme (12:12-50)
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L’ingresso trionfale (12:12-22)
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Il discorso sulla fede e il rifi uto (12:23-50)
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Il Figlio di Dio prepara i suoi discepoli (13:1–17:26)
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Nella sala al piano di sopra (13:1–14:31)
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Gesù lava i piedi dei suoi discepoli (13:1-20)
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Gesù annuncia il tradimento (13:21-30)
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Discorso sulla dipartita del Signore (13:31–14:31)
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Alla volta del giardino (15:1–17:26)
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Istruzioni rivolte ai discepoli (15:1–16:33)
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Intercessione presso il Padre (17:1-26)
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Uccisione del Figlio di Dio (18:1–19:37)
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Cristo respinto (18:1–19:16)
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Il suo arresto (18:1-11)
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I processi (18:12–19:16)
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La crocifissione di Cristo (19:17-37)
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La risurrezione del Figlio di Dio (19:38–21:23)
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La sepoltura di Cristo (19:38-42)
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La risurrezione di Cristo (20:1-10)
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Le apparizioni di Cristo (20:11–21:23)
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A Maria Maddalena (20:11-18)
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Ai discepoli senza Tommaso (20:19-25)
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Ai discepoli con Tommaso (20:26-29)
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Affermazione dello scopo compositivo del Vangelo (20:30-31)
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Ai discepoli e ottavo segno: Gesù provoca una pesca sovrabbondante (21:1-14)
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A Pietro (21:15-23)
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Conclusione (21:24-25)
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Testo tratto da La Sacra Bibbia con note e commenti di John MacArthur.
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