Neppure un iota o un apice della legge passerà. (Matteo 5:18)
Dopo questa breve panoramica dei secoli fino al Medioevo, è ora di ritornare agli avvenimenti dell'inizio dell'era cristiana. In effetti, la nostra ricerca circa la trasmissione del testo sacro ci riporta in Medio-Oriente.
La Chiesa di Antiochia fu la base del cristianesimo primitivo. L'apostolo Paolo partì di là per i suoi tre primi viaggi, che lo condussero in Asia Minore e in Grecia. Allo steso tempo, altri messaggeri di Dio, pieni di amore e di zelo, si diressero verso l'Oriente. La Chiesa di Edessa (nella regione dell'alto bacino dell'Eufrate, Turchia Meridionale) fu uno dei frutti di questa testimonianza. Il Nuovo Testamento non ne parla, ma la storia ha conservato le tracce di questi portatori della buona novella che penetrarono in Siria, in Mesopotamia, in Arabia, in Persia e fino alle rive del Malabar, a sud dell'India. Certe Chiese esistenti ancora oggi in queste regioni si rifanno a Bartolomeo o a Matteo che, secondo le loro tradizioni, si sarebbero spinti fino in queste regioni lontane per predicare Cristo e fondarvi comunità cristiane.
Pur senza avere informazioni precise a questo proposito è evidente che in questo periodo eroico della Chiesa primitiva, la Bibbia fu tradotta in diverse lingue: da un lato in copto e in etiope, cosa che assicurò la sopravvivenza del cristianesimo nel bacino del Nilo; dall'altro, in siriaco. Questa lingua, simile all'aramaico biblico, era diffusa abbondantemente sulle rive del Tigri e dell'Eufrate. La Bibbia siriaca segnò profondamente i popoli d'Oriente. Fra il 411 e il 435, il vescovo Rabbulo si impegnò in una revisione della Bibbia siriaca, e questa la rese ancora più accessibile. Il suo uso si diffuse facendo nascere comunità dappertutto fiorenti.
Dal VI all'XI sec., le Chiese nestoriane (Comunità fondate da Nestorio, patriarca di Costantinopoli, nel V sec.) furono animate da un tale zelo missionario, che predicarono Cristo fin nel cuore dell'Asia. Si sono scoperte tracce di questi testimoni nel Turkestan, in Afghanistan, nella Tartaria e in Cina.
Oggi, la Bibbia siriaca, conosciuta sotto il nome di Pescitta, resta ancora la versione ufficiale della cristianità d'Oriente; inoltre essa fornisce agli esegeti preziose indicazioni sul significato delle espressioni aramaiche così frequenti nel Nuovo Testamento.
Tuttavia, le origini della Bibbia siriaca rimangono un po' oscure. Alcuni suppongono che questa traduzione fu eseguita a Cesarea, a partire dal testo conosciuto sotto il nome di Esapla; si tratta qui dell'opera gigantesca di Origene (185-254), un precursore degli eruditi biblici, che si era assunto l'impegno di trascrivere sei testi ebraici e greci dell'Antico Testamento in colonne parallele:
· prima colonna - il testo ebraico dell'Antico Testamento, adottato dalle comunità ebraiche dei tempi apostolici;
· seconda colonna - lo stesso testo tradotto in caratteri greci;
· terza colonna - la versione greca di Aquila;
· quarta colonna - la versione Simmaca;
· quinta colonna - la Versione dei Settanta;
· sesta colonna - la versione di Teodosio
Altri credono che gli autori della Pescitta si siano ispirati direttamente all'originale ebraico, senza passare tramite la Versione dei Settanta, cosa che conferirebbe a questa traduzione un interesse considerevole: essa assumerebbe allora la funzione di importante anello nella trasmissione della Santa Scrittura, in un epoca in cui gli Ebrei dispersi non erano in grado di curare la trascrizione degli oracoli divini. La Bibbia siriaca avrebbe allora conservato il testo sacro nella sua espressione più fedele, fino al momento in cui alcuni rappresentanti del popolo eletto, risvegliati alle loro responsabilità spirituali, si sono dedicati con nuovo slancio ai documenti ereditati dai loro padri.
Un'altra tappa importante della storia della Bibbia si verificò nel V sec. Alcuni eruditi ebrei iniziarono ad incontrarsi per lo studio sistematico delle Scritture in in ebraico. Per sei secoli, generazioni di sapienti esaminarono l'Antico Testamento. Gli annali li hanno registrati sotto il nome di Massoreti, termine derivante da massorali (tradizione delle informazioni sul Testo Sacro).
Questi uommini si applicarono innanzitutto a eliminare progressivamente tutti gli errori che i copisti avevano introdotto nei manoscritti ebraici nel corso dei secoli. Si accorsero, per esempio, che la lista delle città sconfitte presentata in Giosuè 12 non corrispondeva al numero originale, questo dopo aver esaminato con cura i documenti più antichi. Corressero anche alcuni passaggi inesatti, rivedendo tutto l'Antico Testamento con una minuzia che non ha uguali nella storia.
I Massoreti si dedicarono al lavoro di eliminazione dalle Scritture delle deformazioni o delle aggiunte introdotte nel passato ad opera di copisti meno coscienziosi. I traduttori dell'Antico Testamento in diverse lingue non tardarono a consultare i documenti massoretici per eliminare a loro volta errori o malintesi che, tramite la Versione dei Settanta, erano stati riprodotti da altri copisti. Ai nostri giorni, gli esegeti si rifanno ancora volentieri al testo massoretico, di cui apprezzano il contenuto, la logica e il contenuto.
I Massoreti si erano avvicinati alla santa Scrittura con un rispetto straordinario. Essi non si permettevano di copiare una sola parola a memoria. Prima di scrivere, pronunciavano distintamente tutte le sillabe. Quando giungevano al nome di Dio, si raccoglievano solennemente e pulivano la loro penna; e quando compariva nel testo il nome sacro di Jahvè - quel nome che nessun Israelita pio osa formulare e che si trova 6499 volte nell'Antico Testamento - avevano cura di lavarsi interamente prima di trascriverlo.
Con un inchiostro fatto di fuliggine, di carbone e di miele, scrivevano su pergamene raccolte poi con cordoni fatti con tendini di animali puri. Tre errori scoperti in un solo manoscritto bastavano per renderlo inutilizzabile, e bisognava ricominciare tutto.
Ma questo non era ancora sufficiente, infatti i Massoreti accompagnarono il testo, non con commentari dottrinali, ma con segni convenzionali e con statistiche alfabetiche, in modo da facilitare il controllo delle copie.
Così, fecero il conto delle lettere simili in tutto l'Antico Testamento: la lettera ebraica «aleph» vi si trova 42.377 volte, «beth» 38.218 volte ecc...; in tutto, ci sono 815.280 lettere nell'Antico Testamento ebraico.
Sempre allo scopo di rilevare la minima omissione nel manoscritto, ricercarono altresì la parola e la lettera centrale di ogni libro o collezione di libri.
Sappiamo così che la parola centrale del Pentateuco è «cercò» di Levitico 10:16, mentre la lettera centrale si trova nel termine «ventre» di Levitico 11:42!
I Masoreti ebbero cura di indicare alla fine di ogni libro il numero di parole e di lettere, il versetto, la parola e la lettera che si trovano al centro del libro Furono anche i primi ad adattare un sistema di riferimenti; inserirono nelle loro copie annotazioni di questo tipo: «si trova tre volte nell'Antico Testamento» o semplicemente «nessun'altra», quando si trattava di una menzione unica. Ricercarono perfino le frasi che presentavano qualche analogia, collegando per esempio due passaggi interamente diversi, ma in cui le congiunzioni si trovano allo stesso posto nella costruzione grammaticale.
Così, stabilirono una relazione fra Numeri 31:22 e Giosuè 11:3, in cui il testo originale si esprime rispettivamente così:
L'Itteo e l'Amoreo, il Cananeo, il Ferezeo, l'Hivveo e il Gebuseo...
L'oro e l'argento, il rame, il ferro, lo stagno e il piombo...
In questi due versetti, la congiunzione e lega la prima e la seconda parola e si ritrova fra la quinta e la sesta.
Mettendoli in evidenza, i Masoreti speravano di attirare l'attenzione dei futuri copisti su un dettaglio che sarebbe facilmente sfuggito loro, garantendo così la conservazione del pensiero originario. Ricordiamo ancora che questi scribi del primo Medioevo hanno inventato il sistema dei «punti-vocali» per facilitare la pronuncia dei testi ebraici, eliminando così un'altra possibilità di alterare le Scritture.
Il più antico testo Masoretico più o meno completo è il Codice Babilonese, che risale all'anno 916.
Per la conservazione della Sua Parola, il Signore utilizzò molte volte lo zelo di scribi fedeli alle tradizioni della loro religione. Probabilmente i Masoreti non hanno scoperto la piena luce di Cristo che, tuttavia, emana dalla Santa Scrittura alla quale essi avevano dedicato la loro vita e i loro talenti. Tuttavia, la loro coscienza professionale e la loro minuzia hanno contribuito a preservare l'Antico Testamento ebraico lungo il Medioevo.
L'apostolo Paolo ci ricorda che gli oracoli di Dio sono stati affidati a Israele (Romani 3:2). Gli Ebrei sono stati coscienti di questa missione, anche nella cattiva sorte nei secoli della disperazione; archeologi e storici ce ne forniscono esempi significativi: il Pentateuco samaritano, i manoscritti del mar Morto, i documenti masoretici, gli scritti sacri conservati nelle sinagoghe.
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